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Nicolò Piccinino l'ultimo dei bracceschi

 

Ditto Capitano era homo picolo de statura, et era zoppo, et era valentissimo guerriero, et homo de grande ingenio, et aveva fama per tutto el mundo; et gran danno ne fo alla cità de Peroscia, però che dopo la morte sua Peroscia non ebbe mai più quillo ardire che aveva per prima.” Graziani

Niccolò Piccinino è stato uno dei primi condottieri, e uno dei più grandi, con cui il Sanseverino si è scontrato in gioventù quando al servizio dello zio Francesco Sforza "si faceva le ossa" come caposquadra.

Ma chi era il Nicolò Piccinino  che troviamo così spesso nominato nelle prime pagine del libro “Roberto Sanseverino condottiero del rinascimento italiano tra arte militare e politica” ? Uno dei più importanti condottieri di inizio quattrocento, nonché padre di Jacopo altro grandissimo capitano d'arme, ma non solo, scopriamolo assieme con questa veloce biografia.

Sul luogo di nascita di Nicolò non abbiamo certezza, alcune cronache indicano Perugia altre il borgo di Calisciana, i genitori erano Francesco e Nina sorella di Andrea Fortebraccio, più noto sotto il nome di Braccio da Montone, celebre condottiero. 

Rimasto orfano del padre a 12 anni venne affidato allo zio paterno, Biagio di Callisciana, militando sotto Bartolomeo da Sesto che lo addestrò al mestiere delle armi concedendogli in moglie la bellissima figlia, Gabriella. 

A questo periodo risale il soprannome ‘piccinino’, che gli fu verosimilmente attribuito per la sua piccola statura. Convinto di essere stato tradito uccise la moglie ma convinto dalla madre del grande sbaglio le diede degna sepoltura e allevò con cure il figlioletto Jacopo, che diventerà lui pure celebre condottiero. 

Per evitare la vendetta del suocero passa al soldo dello zio materno, Braccio da Montone.

Al servizio dello zio inizia la sua ascesa durante gli anni delle guerre negli Stati della Chiesa, della signoria braccesca su Perugia, Todi, Orvieto e altre terre umbre (1416-24) e delle guerre napoletane di Braccio.

 Alla morte dello zio durante l’assedio de L’Aquila del 1424, Niccolò pur se a comando della più forte fazione, decise di affiancare l’erede designato dello Stato e della compagnia di Braccio, il quattordicenne Oddo Fortebracci.

L’anno seguente al servizio della Repubblica di Firenze si trova sotto i comandi di Oddo in Val Lamone, presso Marradi in località Fognano durante uno scontro con le truppe viscontee guidato da Angelo della Pergola, Oddo perdette la vita e Niccolò venne catturato.

Rientrato dopo due mesi dalla prigionia si ritrovò presto a capo della parte più consistente della compagnia in contrasto con altri capitani, come Niccolò, detto ‘della Stella’, e Carlo Fortebracci. 

Per ribadire il suo comando il Piccinino portò la compagnia al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, avversario di Firenze. 

Il Piccinino e la sua compagnia agli ordini del duca di Milano e di Francesco Sforza invase la Toscana andando a conquistare i territori dei Fieschi sull’appennino tosco-ligure. Nel 1430 si diresse in soccorso di Lucca per fronteggiare l’attacco fiorentino alla città, per poi proseguire nel contado pisano e aretino.

Venne poi richiamato nel bresciano per contrastare l’azione del Carmagnola, dedicandosi ad opere di fortificazione nel territorio: a Nozza e in Valsabbia. 

Scoppiate di nuovo nel 1431 le ostilità fra Venezia e il Ducato di Milano, il Piccinino con Nicolò di Tolentino e Francesco Sforza affrontò a Soncino, nel febbraio, le truppe venete comandate dal Carmagnola sconfiggendolo e continuando poi a fare pressione sulle fortezze principali del Po e dell'Oglio e specie su Orzinuovi. 

In seguito alla morte del Carmagnola, decapitato per sospetti di tradimento verso la Repubblica, il Piccinino ormai capo delle truppe viscontee riprese nell'aprile 1432 le operazioni di guerra che si svolsero su tutto il confine veneziano fino alla pace di Ferrara dell'aprile 1433. 

Nello stesso anno gli fu affidato il ruolo di governatore pro tempore di Milano e l’organizzazione degli onori cavallereschi per la visita dell’imperatore Sigismondo.

Nel 1435 scorta a Milano Alfonso d’Aragona, catturato dai genovesi in seguito alla sua sconfitta nella battaglia navale di Ponza. 


Dopo la riconciliazione fra Alfonso e Filippo Maria entrò anche al servizio del re.

Il valore del Piccinino viene ribadito il 2 dicembre del 1437 quando Filippo Maria gli concesse l’affiliazione alla casata viscontea, l’uso della biscia nello stemma gentilizio e un primo nucleo di possedimenti territoriali in parte sottratti ai Fieschi.

Ma la pace con Venezia dura poco e nel 1438 si trova di nuovo nel bresciano e dopo aver attraversato l’Oglio gettando un ponte di barche presso Canneto, si porta alla conquista di  Pontevico, Calvisano e Quinzano. 

Poi strinse Brescia sotto assedio facendo deviare i corsi d'acqua. 

L'assedio si protrasse dal 25 settembre al 14 di dicembre, i difensori ormai alla fame e colpiti da un’epidemia di peste non si arresero e il Piccinino fu costretto a ritirarsi dando fuoco al suo stesso accampamento colpito dalla peste.

Nel 1438 Piccinino diventò governatore di Bologna grazie alla fazione bentivogliesca appoggiata da Filippo Maria. Il suo compito fu quello di stabilire una forma di protettorato visconteo della città che durò fino al 1443.

Al comando delle truppe viscontee viene sconfitto nella famosa battaglia di Anghiari dal l’esercito fiorentino guidato da Micheletto Attendolo. Questa sconfitta e il successivo matrimonio tra il suo nemico giurato Francesco Sforza e Bianca Maria figlia del Visconti ne minò ulteriormente l’autorità portandolo così a una campagna espansionistica personale.

Al fianco dei perugini nell’inverno del 1442 conquistava Assisi, Gualdo e Norcia con l’intenzione di farne un proprio dominio. 

Con il passaggio dello Sforza alla condotta veneziana si trova di nuovo ad affrontare l’antico nemico al comando delle truppe viscontee e supportata da quelle aragonesi supportate dal figlio Jacopo.

Ne segue una serie di scontri che mirano la già provata salute di Nicolò che prima si ritira a Ferrara per poi giungere a Milano dove muore il 16 ottobre del 1444, alcuni dicono di crepacuore per la sconfitta braccesca a Montolmo, altri dicono a ausa di idropsia, mentre altri ancora sospettano l’avvelenamento.

Il comando della compagnia fu preso dal secondogenito Jacopo che negli anni a venire non farà sfigurare la casata dei Piccinino, creata dal nulla dal padre Nicolò.


“Il principale avversario di Francesco Sforza, l’unico che..poteva tenergli testa. I due erano avversari così acerrimi, che il duello continuò anche dopo la morte dei Piccinino: quando divenne duca di Milano, Francesco Sforza fece rimuovere tutte le tracce degli onori concessi al rivale, compreso l’erigendo sepolcro monumentale in duomo. Oggi a indicare la sepoltura di Piccinino rimane solo una piccola iscrizione, vicino all’effigie di Martino V.” Scardigli

 

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